Arte e malattia
Pochi giorni fa, al Palazzo Serra di Cassano a Napoli, si è
svolto il convegno sul rapporto tra Arte e Malattia.
Un argomento di grande attualità da vagliare alla luce delle
più aggiornate conoscenze sviluppate nell’ambito delle neuroscienze. Al
convegno sono stati invitati numerosi specialisti a confrontarsi sul come la
malattia e la disabilità, non solo non ostacolano le attività artistiche ma, in
molti casi, sono l’origine stessa di quest’ultime e svolgono una funzione di
motore propulsivo.
Numerosi sono i casi che si possono elencare e di svariati
campi. Schumann, ad esempio, era affetto da schizofrenia paranoide; Paganini
deve il suo virtuosismo alla sua abnorme mobilità delle dita causata dalla
Sindrome di Marfan; Goya, nell’ultima fase, delle sue pitture nere, causata del
Saturnismo (intossicazione da piombo – stessa intossicazione diagnosticata per
lo scapigliato Tranquillo Cremona, stroncato a soli 41 anni), acufeni,
vertigini, disturbi della vista e la sordità che lo isolò dal mondo cambiando
la sua sensibilità pittorica, gli fa produrre opere straordinarie e moderne; o
come Monet e Degas, affetti da malattie oculari che ne hanno compromesso la
visione “normale” e hanno mutato il loro modo di dipingere, spesso
migliorandolo (tranne l’aggravamento della cataratta, come evidenziato nella
foto).
Dean Simonton (studioso dell’intelligenza umana) sostiene che
le creatività eccezionali, di solito, non provengono da situazioni familiari e
educative di tipo protettivo. Il più delle volte sono il risultato di
esperienze sfidanti che sottopongono il soggetto a rinforzare le abilità
individuali e superare gli ostacoli.
La creatività in casi d’infanzie difficili, di malattie e
disabilità, agisce come una potente medicina in alternativa all’emarginazione e
alla depressione. Questo, naturalmente, non vuol dire che la malattia debba
essere la premessa per essere artisti eccezionali.
A seguire alla lettera le conclusioni di tanti ricercatori, instancabili
a passare sotto la lente, i grandi personaggi dell’arte e della storia,
attentando all’attrazione che suscitano sui comuni mortali, ci disorienta non
poco e non ci tranquillizza per niente.
Non molto tempo fa il neurologo australiano Noel Dan sul
Journal of Clinical Neuroscience concluse che l’impressionismo di Monet, Degas
e Renoir è frutto della miopia. Anche a fine Ottocento sia il critico Louis
Leroy che aveva coniato il termine Impressionismo (in senso dispregiativo), sia
gli altri critici, ritenevano che questi pittori avessero problemi di vista ma
per denigrarli.
I difetti della vista occupano un posto di prim’ordine fra quelli
riscontrati nella lista dei pittori: di Van Gogh si ritiene soffrisse di
xantopsia, una distorsione nella percezione dei colori che porta a vedere il
mondo con molto più giallo di quanto ce ne sia davvero. Probabilmente
sviluppata perché beveva assenzio o perché i suoi disturbi di mania ed
epilessia venivano curati con la digitale (come sedativo anti convulsionante).
L’astigmatismo sarebbe, invece, la causa dei profili allungati di Modigliani e
delle figure magre di EL Greco. ’E stato dimostrato che utilizzando degli
occhiali per astigmatici le figure di questi autori rientrano nelle proporzioni
normali.
John O’Shea ricercatore presso la facoltà di storia medica
della Worshipful Society of Apothecaries di Londra, ha riempito le pagine di un
intero libro, offrendo un quadro reale dei compositori e delle loro malattie:
la sordità di Beethoven, la malattia mentale di Schumann, l’afasia di Ravel, l’insufficienza
renale cronica di Mozart, ecc. Con l’intento di rintracciare i segni della
genialità nelle caratteristiche fisiche ci s’imbatte su quanto l’arte sia stata
influenzata dalle condizioni di salute dei suoi autori mettendo in discussione
ipotesi e miti che parevano consolidati.
La storia dell’arte è piena di artisti affetti da gravi
malattie mentali quali la schizofrenia oppure tormentati da nevrosi e disturbi
della personalità spesso con epiloghi estremi nel suicidio. Dal grande
architetto del ‘600, depresso da una cronica insonnia al famoso caso di Van
Gogh, che ha saputo esprimere nei suoi capolavori l’angoscia e il mal di
vivere. Sul suo caso per ipotizzare una diagnosi postuma alla luce delle
esperienze cliniche più recenti, almeno 150 psichiatri hanno concluso con 30
diagnosi diverse. Per citarne solo alcune: schizofrenia, disturbo bipolare, sifilide
e alcolismo.
Anche l’autore del famoso “Urlo”, Munch si ritiene fosse
affetto da schizofrenia, come la sorella Laura. L’opera, rappresentazione
simbolica dell’uomo contemporaneo, rivela la condizione psicotica dell’artista
stesso che rivedendola affermerà: “Solo un folle poteva dipingerlo”. Il matto
più popolare del ‘900, anche per via di una fiction televisiva, è stato Antonio
Ligabue. Senza dimenticare uno straordinario talento di nome Tancredi, che con
la diagnosi di schizofrenia paranoide finì la sua vita col suicidio. L’elenco potrebbe
prosegue ancora, ma giusto per chiudere, soltanto alcuni nomi: da Jackson
Pollock, ostacolato da continui problemi di alcolismo che lo tormentavano, a
Jean Michel Basquiat, personalità in profondo conflitto con se stessa; da Mark
Rothko che dopo una lunga depressione si uccise, a Francis Bacon che ha
tradotto il disagio esistenziale nei suoi scomposti e deformati ritratti; senza
tralasciare la grande Camille Claudel che ha concluso la sua vita depressa e con
manie di persecuzione, internata in un manicomio.