mercoledì 10 maggio 2017

A proposito dell'Omaggio ai Maestri della Permanente.DIALOGO D'ARTISTA 8-21 maggio 2017




In fondo, noi “artisti”, cos’è che facciamo, se non  scaricare sul mondo la nostra interiorità?
                                                                                                                               Mario Benedetto



A proposito dell’Omaggio ai Maestri storici della Permanente: una certa vicinanza si potrebbe trovare con l’opera Interno di G.  OSSOLA, recentemente ospitato nei nostri spazi con un’ampia retrospettiva. Essere stati allievi di Brera ambedue non incide, i nostri background sono molto differenti, (il poco spazio non rende!) ci uniscono alcune attenzioni e vicinanze tematiche, ma con finalità ed esiti assai diversi. Mi riferisco al ciclo degli Interni visti come serbatoi della memoria individuale e come luoghi della solitudine della pittura e, nell’ultima fase, come composizioni caratterizzati da atmosfere atemporali e dalla remota presenza umana. 







In successione Immagini di:
                         Giancarlo Ossola (Milano 1935 - Milano 2015) Interno,1984.Olio su tela,145 x 90.
                         Mario Benedetto (Scilla 1947) Interno,2017.Olio su tela,120 x 120.
                         Mario Benedetto, La casa diroccata,1974. Acquatinta,mm 160 x 245
                         Mario Benedetto, Requiem per una palamatara (Bozzetto),1983.Acrilico, cm 38x65














Accosto la mia opera Interno, dal ciclo della cultura contadina del Sud. Dove è raffigurata una pratica della credenza popolare tramandata da persona a persona (con una citazione di HR. Giger). Di un Sud, dove il perdurare di credenze e rituali sono interpretate come lo specchio di una società per secoli lasciata nell’isolamento dovuto a condizioni storico-sociali imposte (vedi studi e opere di L. Lombardi Satriani, E. De Martino, etc.). Ciclo che ha origini lontane, scrive, infatti, A. Ferrante nel 1972: “La partecipazione umana dell’artista, al mondo doloroso e tragico dei vinti, dei miseri, degli umili, va oltre il filantropico atteggiamento sentimentale, sottintendendo un silenzioso senso di protesta sociale” etc. E, come scrive G. Mandel (1975): “ Egli trova il soggetto in ragione di una sua intima ansia di esprimere questo tempo che passa, e come nel tempo soffrano si evolvano e si decantino le cose transitorie, i segnacoli di una materia che al tempo non è destinata a sopravvivere. Colta dal segno d’arte, la “cosa” anonima abbandonata al tempo diventa emblema”. E, ancora, D. Purificato: “ Benedetto non è il primo a portare con sé nella città delle “culture visive più avanzate”, nella Milano “europea”, come usa dirsi, il suo bagaglio di narratore meridionale, ” etc. Anche  D. Villani (1986): “Gli artisti del Sud, mostrano nelle opere, un attaccamento alla propria terra ed alla propria gente, che difficilmente riscontriamo in quelli delle altre regioni. Forse è perché nel Sud, le radici profonde del passato, affiorano più spesso e la vita offre aspetti a volte singolari e perfino drammatici, che i giovani hanno conosciuto e vissuto ed è difficile scuoterseli di dosso e liberarsene anche a chi volesse farlo, ma non lo fa, forse per una specie di solidarietà con i suoi di ieri e di oggi” etc.