In fondo, noi “artisti”, cos’è che facciamo, se non scaricare sul mondo la nostra interiorità?
Mario Benedetto
A proposito dell’Omaggio ai Maestri storici della Permanente:
una certa vicinanza si potrebbe trovare con l’opera Interno di G. OSSOLA,
recentemente ospitato nei nostri spazi con un’ampia retrospettiva. Essere stati
allievi di Brera ambedue non incide, i nostri background sono molto differenti,
(il poco spazio non rende!) ci uniscono alcune attenzioni e vicinanze
tematiche, ma con finalità ed esiti assai diversi. Mi riferisco al ciclo degli Interni visti come serbatoi della
memoria individuale e come luoghi della solitudine della pittura e, nell’ultima
fase, come composizioni caratterizzati da atmosfere atemporali e dalla remota
presenza umana.
In successione Immagini di:
Giancarlo Ossola (Milano 1935 - Milano 2015) Interno,1984.Olio su tela,145 x 90.
Mario Benedetto (Scilla 1947) Interno,2017.Olio su tela,120 x 120.
Mario Benedetto, La casa diroccata,1974. Acquatinta,mm 160 x 245
Mario Benedetto, Requiem per una palamatara (Bozzetto),1983.Acrilico, cm 38x65
Accosto la mia opera Interno,
dal ciclo della cultura contadina del Sud. Dove è raffigurata una pratica della
credenza popolare tramandata da persona a persona (con una citazione di HR.
Giger). Di un Sud, dove il perdurare di credenze e rituali sono interpretate
come lo specchio di una società per secoli lasciata nell’isolamento dovuto a
condizioni storico-sociali imposte (vedi studi e opere di L. Lombardi Satriani,
E. De Martino, etc.). Ciclo che ha origini lontane, scrive, infatti, A.
Ferrante nel 1972: “La partecipazione umana dell’artista, al mondo doloroso e
tragico dei vinti, dei miseri, degli umili, va oltre il filantropico
atteggiamento sentimentale, sottintendendo un silenzioso senso di protesta
sociale” etc. E, come scrive G. Mandel (1975): “ Egli trova il soggetto in
ragione di una sua intima ansia di esprimere questo tempo che passa, e come nel tempo soffrano si evolvano e si
decantino le cose transitorie, i segnacoli di una materia che al tempo non è
destinata a sopravvivere. Colta dal segno d’arte, la “cosa” anonima abbandonata al tempo diventa emblema”. E, ancora, D.
Purificato: “ Benedetto non è il primo a portare con sé nella città delle
“culture visive più avanzate”, nella Milano “europea”, come usa dirsi, il suo
bagaglio di narratore meridionale, ” etc. Anche D. Villani (1986): “Gli artisti del Sud,
mostrano nelle opere, un attaccamento alla propria terra ed alla propria gente,
che difficilmente riscontriamo in quelli delle altre regioni. Forse è perché nel
Sud, le radici profonde del passato, affiorano più spesso e la vita offre
aspetti a volte singolari e perfino drammatici, che i giovani hanno conosciuto
e vissuto ed è difficile scuoterseli di dosso e liberarsene anche a chi volesse
farlo, ma non lo fa, forse per una specie di solidarietà con i suoi di ieri e
di oggi” etc.